Fine vita – articolo di Mario Riccio su Il Dubbio

FINE VITA, AL COMITATO DI BIOETICA SFUGGE UN DETTAGLIO:
SOLO IN ITALIA CI SI PREOCCUPA DEL
“SOSTEGNO VITALE”

Nel lontano 2006, nel pieno del caso Welby, l’allora ministra della Salute – Livia Turco – chiese al Consiglio Superiore di Sanità (CSS, organo tecnico dello stesso ministero) di definire cosa si intendeva per accanimento terapeutico e se Welby ne fosse al momento sottoposto. Con l’evidente intento – pur non dichiarato – di approvarne il distacco dal ventilatore qualora il CSS avesse decretato che Welby era sottoposto a tale trattamento. Il CSS rispose – come era ovvio – che non era possibile definire cosa fosse l’accanimento terapeutico, stante l’assoluta soggettività del concetto. Quel termine, accanimento terapeutico, peraltro al tempo già utilizzato solo nel nostro paese, che veniva rappresentato come il fulcro centrale della vicenda. Mentre era evidente che lo era in volontà del paziente, è poi quasi scomparso dal dibattito sul fine vita, anche in Italia.

Al tempo pensavo che forse meglio sarebbe stato se la ministra si fosse rivolta al Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB), anche se poi la risposta non poteva che essere la stessa. Infatti quel termine, con tutta la sua inconsistente evanescenza, proveniva dal mondo etico-filosofico e quindi più di pertinenza del CNB piuttosto che del CSS.

Oggi invece abbiamo assistito alla situazione inversa. Mi riferisco al quesito che è stato posto al CNB da un ospedale umbro circa la corretta definizione di cosa si debba intendere per trattamenti di sostegno vitale, criterio indicato nella sentenza della Corte Costituzionale sul caso noto DjFabo/Cappato come necessario per accedere al suicidio assistito.

E evidente che il quesito posto dall’ospedale umbro sia di stretta competenza tecnica e quindi sarebbe stato più corretto indirizzarlo al CSS piuttosto che al CNB. Ma tant’è. Il CNB – pur a maggioranza- ha comunque ritenuto corretto esprimersi.

Tralascio ogni malizioso commento circa il tempismo – il quesito è del novembre scorso  -nell’elaborazione del documento del CNB. Ovvero la prossimità a (forse) una nuova sentenza della Consulta sul punto. Chiamata a decidere sostanzialmente se il criterio stesso della sussistenza dei trattamenti di sostegno vitale sia da mantenere o confligge con il dettato costituzionale.

Ma leggendo il parere del CNB sono due gli aspetti maggiormente rilevanti, nonché paradossali.

Il primo. Il CNB è un consesso di esperti di varia provenienza, (giuridica, medica e filosofica) chiamati ad elaborare un pensiero morale ed etico su problematiche di natura medica. Ciononostante non hanno ritenuto elaborare – neanche a margine alcuna riflessione proprio sulla validità stessa del criterio sotteso alla sussistenza del trattamento di sostegno vitale. Mi spiego meglio: tale criterio è un unicum nel panorama internazionale. Nessun paese che ha legiferato in materia di morte medicalmente assistita – o che abbia intenzione di farlo a breve – lo ha mai considerato. Ci si sarebbe aspettato che il CN, partendo da questa premessa, esprimesse un parere – di natura bioetica, appunto, favorevole o contrario che fosse – sull’opportunità del criterio stesso quale elemento necessario per richiedere la morte medicalmente assistita.

Il secondo. Il CNB si è prodotto in una serie di considerazioni tecnico-cliniche su cosa sia un trattamento di sostegno vitale, sostanzialmente restringendone molto i confini. In pratica riportandosi ai casi Welby e Englaro. Quelli che la stampa, per intenderci, ha definito casi in cui si è “staccata una spina” ed il paziente è morto. Ora, stupisce che pur avendo fatto continui riferimenti al mondo giuridico, addirittura internazionale, i saggi del CNB abbiano completamente omesso che l’argomento sia stato già ampiamente trattato, e risolto, proprio nelle aule di giustizia.Varie sentenze (caso Trentini di Massa nel 2020; Mario/Federico di Senigallia nel 2022, primo caso di assistenza al suicidio in Italia; “Gloria” di Treviso nel 2023, ancora caso di assistenza al suicidio; ed ancora caso di assistenza al suicidio “Anna” di Trieste sempre nel 2023. Tutti casi che chi scrive ben conosce essendo stati sostenuti dalla Associazione Luca Coscioni) hanno ampiamente discusso dei confini interpretativi della sentenza della Consulta, dandone – giustamente – una ragionata versione estensiva. In merito a tali pronunciamenti giurispruderiziali, nessuna società medico-scientifica ha mai sollevato dubbi. Applicando gli indirizzi del documento del CNB, oggi Marco e Mina Welby sarebbero stati condannati nel caso Trentini. Mentre nessuno dei casi di assistenza al suicidio sopra menzionati si sarebbero potuti realizzare.

Mario Riccio

Medico; Consulta di Bioetica; Associazione Coscioni